CAMPO DI DISTORSIONE DELLA REALE ETÀ 

Il 1983 è distante quaranta anni. Ed io – che della logica sono sempre stato un degno interprete – sono nato nel 1983.

Quindi ho appena compiuto poco più di 39 anni. 

Era il dodicesimo giorno di un caldo agosto di inizio anni ottanta ed erano circa le 18.30 quando ebbi l’onore di aggiungermi ai consumatori di ossigeno del pianeta.
Un essere sostanzialmente inutile, come del resto tutti voi che state leggendo il pezzo. Inutilità relativa, certo, siamo tutti unici e preziosi, non è mia intenzione offendere gratuitamente, e neppure smantellare le vostre infondate certezze, costruite sull’illusione di essere speciali, per dare così un presunto ordine e senso armonico ad una esistenza che è governata più plausibilmente da un intreccio di anagrammi; caso e caos. Come dite? In questo modo sembro volerle smantellare?
È una vostra libera interpretazione. Che condivido.

Del resto prima o poi doveva succedere di superare i trentanove anni; è una conseguenza naturale che colpisce tutti quelli che vivono quattrocentoottantamesi senza incappare in quella cosa fastidiosa della morte.

È banale dirlo, si sa, che il cambio di decina fa rumore. È la chiusura di un pesante volume enciclopedico da archiviare per sempre, segna un solco tra un prima e un dopo. Induce a riflettere, a fare un punto della situazione.
Tranquilli, quella la terrò per me, che ve ne fregherà mai a voialtri? – dico io. E soprattutto, che me ne importa, a me, di raccontare i miei accolli (potenzialmente) a tutto il mondo? Anche questo è un quesito interessante, bisognerebbe che più di qualcuno la domanda iniziasse a porsela.
(Momento polemica non chiarissima che tra le righe vorrebbe far intendere che ce l’ho con gli accaniti fruitori dei social che pubblicizzano loro stessi in continuazione, per mitomania presumo… fermo restando che ognuno è libero di fare e dire quello che bla bla bla vuole, evviva tutti sempre anche quando fanno cose a gran casaccio senza coscienza. Fine momento polemica).

I quaranta anni sono sempre stati uno spartiacque ingombrante nella cultura popolare, ed io – parte integrante di essa – ho sempre ritenuto gli over40 dei pre-vecchi, che potrei tradurre con “persone responsabili che hanno completato la maturazione, perduto in gran misura il senso giocoso della vita, che hanno un ruolo, un lavoro fisso, famiglia, testa a posto. Completi. Stabili”. Un pensiero se ci fate caso coniugato essenzialmente al noioso, poiché figlio di una mente giovane, inesperta, attaccata a priorità di quella fase spensierata di vita, che non prendeva in considerazione di quali e quanti lenti cambiamenti la vita avrebbe portato. La cosa sollevante è che a vederla ora da vicino, entrandoci, nulla è noioso, stabile.. completo. È tutto esattamente come prima e forse anche meglio di prima.. non fosse per quella vocina in sottofondo che sussurra che La fiamma sta bruciando la candela assai velocemente e il tempo per alcune faccende – che piaccia o no – è finito.
La qual cosa è fonte di nutrimento per tutto il nichilismo che mi abbraccia da dentro.

Nascono una serie di pensieri dispari. È tempo di un cambio armadio. Perché come sa magistralmente dire Brunori Sas in una sua opera d’arte dal titolo “La verità”;

“La verità è che non vuoi cambiare,
che non sai rinunciare a quelle quattro/cinque cose a cui non credi neanche più”.

Che sa spiegare così puntualmente il rischio di voler essere ostinatamente coerenti con se stessi, rimanendo spesso fedeli a.. quelle quattro/cinque cose a cui non credi neanche più – a ben pensarci. Perché il tempo passa, cresci e le tue priorità sono semplicemente cambiate. E non è facile liberarsene, sono come salvagenti che ti hanno sempre tenuto a galla, dei quali ti devi sbarazzare perché divenuti ostacoli ora che hai imparato a nuotare.

Rinnegare ciò che per tanto tempo non ti ha fatto annegare.

Ecco, questo è uno spunto di centrale interesse durante l’autoanalisi di cui non vi parlerò affatto.

E poi c’è quella cosa in cui mi sono imbattuto ricevendo gli auguri, e che già ho sentito svariate volte in passato, specie tra gli adulti di età over-anta: “Non contano gli anni che hai ma quelli che ti senti..” un aforisma sensazionale. Motivante. Immotivatamente motivante direi, a guardare con più accuratezza. Provate a rileggerla: è soltanto una cieca negazione del tempo che passa, una non accettazione della realtà, una costruzione linguistica accattivante senza alcun significato reale. Sembra quelle frasi che ti dici con gli amici a un certo punto della serata alcolica, “Siamo i migliori cazzo, la gente come noi non molla mai”. #lagentecomenoinonmollamai. Ma che gente? E “come noi” chi? Non molla cosa? Ma poi, mai? Ma conviene?
Per cui, fatemi un favore: quando vi capiterà di voler sollevare l’umore di un amico, zio, nonno,* servitevi di questa:

“Conta lo spirito con cui vivi gli anni che hai”.

È più onesta. È più vera.
Perché le parole sono importanti.

(*mi sono accorto – rileggendo – di aver utilizzato tutti sostantivi al maschile. Senza premeditazione, ovviamente. Avrei potuto correggere, o mettere quella fastidiosa “/a”, ma non lo farò, perché la verità è che il concetto è chiaro, in nessun modo offensivo e questo mondo in cui tutti sono pronti a indignarsi mi ha rotto le palle).

Concludendo, arrivare a poco più di trentanove anni non è un bel traguardo, di quelli da festeggiare stappando bottiglie in contesti goderecci. È semmai un funerale; il funerale della giovinezza.
Io che per certi versi mi sento ancora un diciannovenne, per altri sono sempre stato un quarantaseienne, e sogno ancora di diventare un giocatore di basket quando smetto col calcio (esatto non ho smesso neanche quest’anno) e penso già a come organizzarmi con la pensione… Ecco, io sono confuso, offuscato, sballottato. Vivo dentro me le età che ho avuto e quelle che avrò, rimanendo sorpreso da quella che effettivamente ho.

Un campo di distorsione della reale età, questo è.

Che un giorno non poi così lontano da qui, avrò poco più di 49 anni e ripenserò a quanto fui sciocco – oggi – ad arrovellarmi in pensieri così obliqui. E quando ne avrò poco più di 59 lo penserò dei 50. Ai 69 dei 60 e così via. Finchè più o meno meritatamente morirò, come tutti, anche voi che state leggendo questo pezzo. Non è mia intenzione offendere gratuitamente e neppure smantellare le vostre infondate certezze costruite sull’illusione di essere speciali e che esista un aldilà in grado di dare un presunto ordine e senso armonico ad una esistenza che è governata più plausibilmente da un intreccio di anagrammi; caso e caos. Come dite? In questo modo sembro volerle smantellare?

Già detto.

Un pensiero riguardo “CAMPO DI DISTORSIONE DELLA REALE ETÀ 

  1. Yes dear Friend, exactly as you say. And when you trespass the 50’s border it’s gonna be the same. Same sense of proud uselessness. The only difference is that when you become 50 yo you care less. Far less. It might be either for a kinda unconscious resignation to life or for a sudden wisdom along with an unforeseen sense of fulfillment. Or for both. Anyway, my Friend, it’s advisable to surrender (in the Asian way, not in our Western one), slow down and consider that immortality wouldn’t be the best of the options though. Yes, the wax has been ineluctably melting and the candlelight is not as hopefully shining as before, but it’s a worthy spark anyway. Keep being the splendid & talented human being you are… the rest will come by itself. Yours, the Photographer P

    "Mi piace"

Lascia un commento