DAL TRAMONTO ALL’ALBA

Gennaio 2018. Stazione Centrale, Milano.

È già buio quando arrivo e sarà ancora buio quando ripartirò. Dal tramonto all’alba. Soggiorno netto previsto; undici ore e spicci. C’è una logistica farraginosa ad attendermi. L’hotel prenotatomi è distante sia dalla Stazione che dallo Studio e non raggiungibile dalle linee metro, la qual cosa vista su una cartina disegnerebbe un triangolo – con tutta probabilità scaleno – e prevederebbe perdita di tempo nonchè diverse monete uniche europee da smerciare ai tassisti che, per quanto efficienti, sono notoriamente cari.
Farò ciò che mi pare giusto fare, andrò in un fast food, mi mal nutrirò, con tutta calma prenoterò un hotel in zona Stazione su Booking e disdirò l’altro.

Appena fuori dalla stazione, Milano.

C’è una nuova scultura impattante lì davanti, una mela alta 6-7 metri volutamente riferita ad Apple presumo, col morso però ricucito. Non mi dispiace affatto.
Tutto intorno palazzi moderni, zona riqualificata. Le luci della sera la vestono d’eleganza, hai la sensazione di essere al centro di qualcosa di grande, forse grandioso. Lusso, costi esagerati – a tratti esorbitanti – a contatto col degrado sociale, ben mascherato però. Lo noti dopo, quando torni con lo sguardo ad altezza uomo. C’è tutta un’estetica corale che fa sfuggire i particolari. C’è qualcosa di profondamente insano nel nostro sistema, direi disonesto, ma non lo dico.
Attraversando Piazza Duca d’Aosta sono decine gli uomini di colore assiepati sui muretti, divisi in gruppi, musica alta alcuni, urlano altri, di fondo sembrano felici, portano certamente folclore e chi sono io per mal giudicare, nessuno, però ecco.. in tutta onestà mi creano disagio. Disagio perché tentano di adescarti e venderti cose, tra cui droga, così, come se fosse normale. La droga.
Più di un paio di considerazioni populiste mi sorgono spontanee come ruttino di infante dopo poppata:

Uno. Ma cosa ci vuole a sgominare chi spaccia e da dove arriva la droga, se io in dieci secondi ne ho già incontrati due? Vien da pensare non ci sia una ferrea volontà. Vergogna, Stato connivente!
Due. Ma come fanno a vivere in una città così costosa se sono sostanzialmente poveri e senza lavoro? (Sicuramente vivono in sovraffollati appartamentacci di periferia, ok, ma alle considerazioni populiste non basta, vogliono risposte più trancianti)
Tre. Ma c’ho la faccia da drogato io?
Quattro. Salvini non ha tutti i torti, ruspe, ruspe, ruspe!

Ma per fortuna il populista che è in me ha la minoranza nel parlamento del mio senno, così vedo anche il lato umano di persone sfuggite a qualsivoglia problematica in cerca del benessere raccontato dall’occidente, benessere che esiste ma non per tutti, forbice sociale in allargamento e tutte quelle cose lì che conosciamo, che tutti tendono ad affrontare con visioni troppo parziali per essere accettabili e che anche se studiate a fondo non hanno neppure lontanamente una soluzione che sappia mettere tutti d’accordo in un clic. Detto questo, ma quanti sono?! E che cosa fanno per vivere, punto interrogativo? Ruspe. No, calma populismo. Vai a sederti.

Dopo il fast pasto io e il mio trolley rotoliamo fino all’hotel dove il milanese per eccellenza Massimo ci receptiona e con la tipica parlata meneghina mi da del pistola per aver prenotato con Booking, che se passavo direttamente riusciva a trattarmi meglio “che quelli lì si ciucciano il 18% dell’importo” – mi ha detto. È partito un dissing a Booking che non vi dico, che probabilmente sarà pure cara, ma “Va anche detto che senza Booking un terzo delle persone, immagino, non verrebbero qui” – mi sono permesso di asserire, ma lui ha tirato dritto, snobbando (secondo me di proposito) il mio sensato appunto.

Prima del mio impegno allo studio, riesco a vedere il primo tempo di Inter Roma in un pub lì a fianco, una Menabrea sei euro, sbam, però mi hanno dato anche un cestello di patatine. Quindi non è caro.
Il taxi per lo studio puntuale, preciso, 18 euri per sette km, senza neanche un cestello di patatine. Quindi è caro.

Nello studio il colloquio fila liscio, due chiacchiere lavorative, ho anche usato un passato remoto che mai ho usato prima, che di solito me la cavo con un passato prossimo, ma volendo usare il verbo soccombere.. abbiamo soccombuto? Cacofonico. Qual è il participio passato di soccombere? Soccosso? Ma no! E quindi il mio pool di esperti dell’intelletto ha virato prontamente sul troppo poco utilizzato passato remoto; Soccombemmo. Bravo, ben fatto, buona soluzione.
Un paio d’ore dopo sono fuori, tutto bene, tutto tranquillo, la mezzanotte è già passata e mentre cerco un taxi, mi imbatto in una fermata del bus 56 che per una simpatica coincidenza ha il capolinea nei pressi della Centrale. Niente taxi dunque, salgo senza il biglietto credendo erroneamente di poterlo fare a bordo, disturbo il conducente infischiandomene della scritta in alto che intima di non farlo, ma lui dice che non c’è bisogno, che sta corsa la offre lui. Me ne lavo le mani e sfrutto il mezzo pubblico gratuitamente, come del resto un tamarro milanese appena maggiorenne, tutto griffato e un po’ sovrappeso, e una inquietante ragazza non so di quale nazionalità che parlava da sola. Gente della notte.

L’ultimo km lo faccio a piedi, nella Milano notturna, un po’ eccitato e un po’ disorientato, viali e controviali, puttane in qualche angolo, gente come me sola a piedi che rientra verso non so dove, palazzi signorili in cui si scorgono tenui luci di Tv accese, immagino le vite al loro interno, immagino la mia come sarebbe se abitassi qui, scenderei in quel bar, andrei da quel panettiere.. e mentre sono disperso in un apprezzatissimo mood riflessivo  mi accorgo che è già l’una di notte, non mi va di dormire e tra cinque ore suona la sveglia. È quasi un peccato non sfruttare l’occasione per farmi un giro, anche se il mattino dopo ho treno e allenamento a Rimini.

E se andassi in piazza Duomo? Mi chiedo.

E se invece non andassi, e me ne andassi comunque a letto? Mi rispondo.

Che poi non è carino rispondere a una domanda con un’altra domanda.

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