Succedono poi cose nel weekend, a un bel momento. Tipo un allenatore che si dimentica di farti entrare, ci sta. Fa un po’ ridere, ma ci sta. Soprattutto se poi quella partita l’hai vinta, tutto fila via, scorre, senza attrito, liscio. È così che vanno le cose, sottili equilibri tra torto e ragione, sottili ragioni tra torti e equilibri, sottili torti tra equilibri e ragioni, giusto per mischiare le carte.
Che tanto quest’anno ho imparato a dire “a posto così”. Con chi cerca di aizzare, litigare, confutare io rispondo “A posto così” e se continua rispondo “A posto così” alzando la voce finché non si scoraggia. Nessuno è mai andato oltre al terzo ” A posto così“.
Una giornata in famiglia, il dì seguente, che è lunedì, per molti giorno festivo in quanto ponte che allaccia la domenica al martedì 25 aprile, giorno della liberazione, o della libera azione se preferite, che sarebbe un nome gradevole per una forza politica, peraltro. Mezza giornata in zone collinari, fortezza di San Leo, nei pressi della estera San Marino, a vedere cose belle in bella compagnia, costruzioni vecchie medievali, contenitori di storie piuttosto assurde di torture e prigionìe, annosa questione che testimonia l’incantevole uso improprio delle risorse intellettive umane che perdura lungo tutto il corso della storia, e chissà per quanto ancora ci accompagnerà.
Tempo di sgranchirmi le gambe con una improvvida accosciata ed ecco il mio apprezzato iPhone sette nero opaco non protetto da custodie sfilarsi dalla tasca, toccare non dolcemente il suolo e cominciare una drammatica discesa – schermo a spanciato a terra – per la ripida pendenza del ruvido ciottolato e interrompere la sua traiettoria un paio di metri dopo grazie allo stop d’interno destro di mio zio che evita danni peggiori. Danni che tuttavia non passano cazzo inosservati; graffi diffusi, piccole lacerazioni del vetro qua e là e la sensazione di aver fatto un’ottima scelta ad aggiungere l’Apple care al momento dell’acquisto, che permette riparazioni e/o sostituzioni a costi confortevoli e/o/a abbordabili.
Una piadina classica romagnola crudo squacquerone e rucola a pranzo, e discesa verso il mare, dove raggiungo miei colleghi intenti a godere del sole, e con cui facciamo una sfida a basket in spiaggia, canestri, tiri, mi sento fortissimo, vinco, poi entra sul campo un bambino veramente piccolo tipo cinquenne penso, con un nome veramente deludente quale è Cosimo, secondo solo a Calogero, che la mamma appellava Cocò, il quale con una personalità rara si intromette tra schiere di giganti senza salutare nessuno e facendo suoi quanti più palloni possibili cercando la gioia del goal, non minimamente supportato da forza nè tecnica che lo rendono un impiccio alla nostra gara che intanto però prosegue, ora più spezzettata, con Cosimo che a un certo punto calcia coi piedi il pallone a spicchi colpendo un palo pieno che gli restituisce con forza uguale e contraria il pallone in faccia facendolo cadere come un bambino. Quale è. Il tutto tra le nostre risa mentre la madre riprendeva il suo campione con lo smartphone, video che vorrei fortemente avere prima o poi.
Un altro ragazzino, più grande tipo dodicenne avrebbe voluto anch’egli giocare, ma – più timido – ci guardava seduto a bordo campo, aspettava solo di essere chiamato, ma l’ingombranza di Cocò era già più che sufficiente per noi adulti. Finita la sfida e assecondato Cocò, che tra le altre cose quando ha saputo che sono un tifoso della Juve mi ha guardato e dedicato un sentito “Fai schifo”, ho coinvolto anche il dodicenne, giocatore da subito parso talentuoso, una fluidità di palleggio e tiro che lasciavano trasparire competenza nonché militanza in qualche squadra cestistica giovanile. “Lui si che è bravo, si vede subito” ho subito sentenziato “è più bravo di te” ho aggiunto indicando il mio amico Cat. Poi è partito un due contro uno, io ero l’uno, contro il dodicenne e il mio amico Cat, ho fatto valere i miei centimetri, l’ho stoppato due volte il talentino, pavoneggiandomi anche, tipo Giovanni quando fa braccio di ferro col bimbo in “Tre uomini e una gamba” poi la partita è finita, dovevamo andare e mi sono complimentato col dodicenne, “Bravo, alla prossima.. io sono Daniele come ti chiami tu?” gli ho chiesto. Ha farfugliato un nome, che non ho capito, mi è sembrato abbia detto forse Gabri.. “Come scusa?”
“Sabrina”
Ah.
Cioè quindi..
Esatto.
Ho stoppato due volte la dodicenne Sabrina.