E così al mio arrivo c’era troppa luce, credetemi troppa, rimbalzata su case bianche fatiscenti, credetemi, troppo. A una rotonda un tale mi taglia la strada infilandosi nell’imbuto trafficato della corsia poco oltre, ma io non do a vedere la mia perplessità; solo un folle lo farebbe dopo aver letto dell’accoltellamento per una mancata precedenza accaduta nella stessa città poche dozzine di ore prima. A terra, una segnaletica orizzontale pressoché assente, della quale di tanto in tanto si intravedono degli sbiaditi e struggenti resti.
“Alla rotonda prendi la prima uscita a destra” – suggerisce il navigatore, e così entro in rotonda tenendo la destra e mi fermo in coda. Pochi istanti e noto che nessuno è alla guida dell’auto davanti a me. E nessuno neanche in quelle più avanti; sono auto parcheggiate. Parcheggiate dentro una rotonda.
Percorro altre strade sconosciute e caotiche. Tra gli innumerevoli e continui incroci di questa terribile città, c’è un tale, palesemente parcheggiato contromano che intralcia in modo scioccante il traffico, mentre è intento a riempire una tanica d’acqua dal rubinetto di una fontana pubblica posta sul marciapiede. Tutti incastrati, cercando cmq di farsi largo in attesa che l’incivile finisca di riempire i suoi tre litri d’acqua del rubinetto. Che verrebbe da chiedersi se a questo punto l’acqua di casa non sia la stessa, ma non chiediamocelo. Osserviamolo e basta.
Un semaforo rosso sbuca all’ultimo impallato da un lampione sito davanti a esso, a non più di tre metri. Freno. Rido. Ho paura. Voglio la mamma.
“Benvenuto al sud, amico mio” – dico con ironia all’unico amico che avrò in queste prime ore, l’altra parte di me; il fermo oppositore della superficialità. Colui che rifiuta slogan e luoghi comuni, combattendoli con la profonda osservazione della realtà oggettiva, scremata da ogni pregiudizio. E che infatti non fa attendere la sua versione:
“Non essere severo, è pur vero che i segnali ci sono, ma è prematuro sentenziare” – suggerisce con pacatezza. È un’entità che stimo, questo non posso negarlo.
Lasciata l’auto al sicuro, perché a quanto mi dicono gli stessi abitanti del posto “.. qui le fanno sparire volentieri”, mi incammino per il centro. C’è la festa del patrono. Per l’occasione uno stuolo di bancarelle arredano i viali, e la piazza centrale è inaccessibile, transennata e supervisionata da quel genere di Bodyguard non di professione ma che per l’occasione si sentono tali e da tali si atteggiano, rispondendo supponenti senza guardarti negli occhi ma scrutando oltre, come per non cadere in facili distrazioni e farsi scappare il furfante di turno. C’è un chè di melodrammatico e divertente in tutto questo.
“Mi scusi c’è qualche evento particolare stasera” – domando con garbo. “Eh certo, sta Enzo Avitabile” – mi risponde mentre già sta intimando ad altri dietro di me – con tono seccato – che lì “Sta chiuso, fate il giro di là” indicando una lunga e stretta via che porta verso un’altra direzione. Vorrei domandare di più, ma ho perso la sua già scarsa attenzione, e decido di imboccare quella via, seguendo altra gente dirottata mentre il pensiero plana morbidamente affiancando un quesito: “E chi cazzo è Enzo Avitabile?”
Cammino. Siamo ormai ad orari prossimi alle diciannove, inizio ad avere fame quando arrivo di fronte al Duomo. In una città che di bello ha ben poco, il Duomo, ecco il Duomo.. non è un granché. Vi entro.
Ho motivo di credere che sia in virtù della festa del patrono, ne avrò conferma solo dopo, ma quel che mi si palesa davanti è uno sconcertante spettacolo, col duomo corredato di svariate Tv appese alle colonne della navata centrale, e un rosario in atto ma senza prete a intonare la prima parte della lunga serie di “Ave oh Maria”. Al suo posto una voce registrata, ma è più corretto dire “interpretata” da un doppiatore professionista. Immaginatevi la voce del documentarista di Super Quark, quello che dice che “Il leone può arrivare a mangiare fino a 24kg di carne al giorno”. Trovo la cosa sacrilega. Al di là del credere o meno all’esistenza di tutto ciò che ci raccontano, l’ambiente ecclesiastico possiede indiscussa spiritualità, quel senso di solennità, storia, cultura, che ti fanno percepire il lato misterioso dell’appartenenza a questa buffa esistenza… a questo inconcepibile universo. Non oggi, non qui.
Solo, in compagnia di me stesso, mi sento spaesato. E lo sono. Mi si accumulano in testa una foresta di interrogativi. Che ci faccio qui? Ho fatto bene ad accettare un lavoro quaggiù? Alla mia matura età, e probabilmente all’ultimo anno di carriera? Ma non era forse meglio il piano B? Non sarebbe stato più saggio.. bla bla bla.. ?
“Non farti troppe domande tutte insieme. Non serve. La scelta l’hai fatta, ora vivila. E poi è sempre la stessa storia, i primi momenti ti sembra tutto strano, sbagliato.. e dopo stai alla grande e sei felice. Ancora non l’hai capito? Che qualunque cosa, anche sulla carta sbagliata, se vissuta nel modo giusto, assume tutto un altro senso e porta con sè un mare di cose positive? E poi.. uuuh, guarda là, c’è la bancarella delle caramelle, io voglio le coca cola frizz”.
“Quante volte gli ho detto di non esagerare con le coca cola frizz” – penso, mentre estraggo il portafoglio e assecondo quel saggio e infantile lato di me, che intanto è già al banco ad aggiungere anche i coccodrilli e le liquirizie. E le fragoline.
Quel viziato.