Da mesi a questa parte mi addormento ascoltando il podcast, di solito roba divertente tipo trio medusa, ma da settimane sono tornato su qualcosa di più serioso e in qualche modo culturale. Si chiama Dee Giallo, lo conduce Carlo Lucarelli, noto giallista, che affronta strane storie di personaggi ambigui e ne racconta la parabola che li ha visti protagonisti in una fetta di storia.. Veramente godibile, fatevi un giro se vi capita.
C’era anche lui al festival, il Lucarelli dico, e non vedevo ragione per non presenziare. Biglietto stavolta preso per tempo, che non ha tuttavia evitato una coda importante, ci sta.
Anche in questo ambiente ero una specie di intruso. Presumo fossi l’unico che non aveva mai letto un suo libro.
Dirò di più: mai letto un giallo. E aggiungo: libri letti nella mia vita, una decina. E concludo: non ne vado fiero.
Temevo quelle cose tipo che per motivi non del tutto chiari finisci per essere il fortunato estratto che deve rispondere a una domanda stra facile sulle opere dell’autore.. fallendo miseramente tra le risa di tutti.
Brutte storie quelle.
Nulla di tutto ciò, anzi addirittura c’era una tizia che giocava a Candy Crush con lo smartphone, il che mi ha lasciato, come dire.. stranito. Si, stranito. Paghi un biglietto, entri, e invece che ascoltare che fai? Giochi a Candy Crush. A Candy Crush. Non ho mai giocato io a Candy Crush. Magari è bello. Candy Crush.
Alla fine dell’evento era ora di cena. Che se uno cena alle 19 allora no, non era ora di cena, era ora della passeggiata con gelato in centro. Era l’ora di cena, per chi cena più tardi. Non tardi tipo le 22 però, come fan gli spagnoli. Un po’ prima. Insomma erano le 20.30.
E c’era un evento – tra i tanti della serata – che volevo andare a vedere, per questioni strettamente legate al titolo, perché io ho un forte debole per i bei titoli. Una volta ho anche comprato un libro (poi mai letto) perché aveva un titolo che mi sembrava geniale. Per dire.
Questo evento era in Piazza Mantegna e si intitolava “Chi è Frank Zappa, e perché parla male di me“. Applausi. Solo io sono entusiasmato da tale titolo? Solo io ci vedo del genio dietro a una scelta così brillante? Io a uno così, la prima cosa che mi viene da fare, è offrirgli una birra. E un club sandwich, se ha fame.
Solo che poi son stato a cena in compagnia di colleghi, poi a bere una sambuca con ghiaccio e mosca e l’evento è finito e niente, son tornato verso casa.
Tornando verso la macchina (che stavolta non son mica andato in bici, pigro) le vie del centro accoglievano ancora un gran numero di persone, fatto inusuale per un giovedì sera.. ma il festival è questo. Trasforma la città – già bella – in un elegante palcoscenico in cui tutti recitano un proprio ruolo.
E non vorrei andare già a casa.
Lungo la strada sento avvicinarsi al mio orecchio una batteria una chitarra e un basso, e sento “Superstition” di Stevie Wonder.. ed è evidente che sta cosa di andare a casa sia da ritenersi rimandata a ora da destinarsi.
Mi apposto tra dozzine e dozzine di sconosciuti, ancora una volta – magicamente – a mio agio. Le mie orecchie appartengono alla musica tutta, ma i miei occhi sono solo per la batteria, che un pochino la so.. diciamo.. percuotere. E lo covo il sogno di poter un giorno suonarla in un contesto simile.
Sono un gruppo estremamente godibile, energico, il loro repertorio si focalizza sugli anni 70 e 80, e anche 60 facciamo, che non ho una idea esatta della collocazione di certa musica, non vi voglio mentire.
Mentre ammiro l’aria di sana festa creatasi tutta intorno, divago con la mente in una specie di trance-agonistica. I miei pensieri si possono riassumere in qualcosa tipo “Ma tu guarda che bellezza potrebbe essere il mondo, che è questa la vera essenza, che mi sento vivo per bene qui e ora”.
E c’è un uomo davanti a me, tra tanti. Sulla cinquantina. Ascolta e ne sembra immerso, come me e più di me, che lui in quegli anni era ragazzo, e chissà quanti ricordi avrà legati a quelle note. Picchietta il piede a tempo e la mano non riesce anch’essa a stare ferma. Nessuno potrebbe distoglierlo da quel momento, nessuno al mondo, per nessuna ragione al mondo.
Nessuno: tranne la moglie.
Arriva dalle retrovie, sta donna, aria visibilmente seccata, colpetto sulla spalla e fulminee parole che non lasciano spazio a trattative: “Senti dobbiamo stare qui ancora tanto? Dai su, muoviti che è tardi..”.
E lui, che al colpetto sulla spalla si è voltato con la faccia di chi è stato strappato al sonno, ha rilanciato ottenendo il massimo possibile quando una donna ti mette alle strette: “Finisce questa e andiamo”.
Ho detestato quella donna – Ma come osi interrompere quel piede e quella mano picchiettanti? Per cosa poi, andare? Che è tardi? Ma tardi cosa dove perché chi? Egli stava vivendo un’emozione. Vergogna, donnaccia! – Così… insulti gratuiti nella mia testa a quella donna, che poi magari a lei non piacciono queste cose ed è già stata brava a concedere un sacco di tempo al marito. Punti di vista, come sempre. Ma mi tengo il mio: povero uomo.
La performance del gruppo dicuinonsoilnomealtrimentilodirei, si chiude dieci minuti dopo la dipartita di marito e moglie cattiva, con una splendida “Johnny Be Good” di Chuck Berry, sotto lo sguardo ammonitore di un vigile che per rendersi ancor più autoritario, sventola un libretto delle multe minacciando sanzioni per l’orario sforato. Ognuno fa il suo mestiere.
Applausi, urla, fischi, ululati e la folla si sparpaglia. E mentre anche io mi sparpaglio verso la golf, penso che il vigile è stato per tutti i presenti, quello che la moglie è stata per quel marito. Un dannato guastafeste.
E poi chissà chi era sto Frank Zappa, e perché parlava male di quello – ho anche pensato.